sabato 3 marzo 2007

Stephen King e l’haiku tombolato

Stephen King e i promotori dell’haiku tombolato (ovvero formato sul loro sito con terne di versi estratte dal computer a caso – vedi post precedente) la pensano alla stessa maniera.
Gli appassionati di Cascina Macondo, dopo aver con dovizia e precisione spiegato nei dettagli che processo altamente spiritualmente sia quello di creare un haiku, se ne vengono infatti fuori con una pagina del loro sito http://haiku.cascinamacondo.com/ dove è possibile creare, con un meccanismo che ricorda un po’ i videopoker, degli haiku pescando le classiche tre strofe da un data base informatico.
Questa apparente eresia ha però una sua giustificazione teorica. Di fatto, dicono a Cascina Macondo, gli haiku esistono già e il poeta si limita a scoprirli. Non è detto che la scoperta non possa essere fatta da un computer.

Trascrivo testualmente dal loro sito:

Jan Skàcel dice:
"I poeti non inventano le poesie; la poesia è in qualche posto là dietro,
è là da moltissimo tempo. Il poeta non fa che scoprirla"
È una riflessione che cambia le carte in tavola.
Ci invita a riflettere su quell'atteggiamento mentale, diffuso anche nell'arte,
che vanitosamente mette l'uomo al centro dell'universo.
L'uomo non "crea", non "inventa" la poesia, ma la "scopre", ci dice Jan Skàcel.
La poesia esiste già!
Assecondando questa riflessione ci mettiamo alla ricerca dei "luoghi" (reali o mentali)
in cui la poesia si annida. ll poeta ha il compito di scovarla e portarla alla luce.
La riflessione è simile a quella che Michelangelo fece relativamente alla scultura.
Uno scultore, diceva, deve soltanto togliere da un blocco di marmo ciò che è superfluo.
La sua bellissima statua è già lì, nascosta dentro il blocco di marmo informe.
Lo scultore non deve fare altro che scoprirla, togliere il marmo superfluo.
La scultura è l'arte del levare.


Questa concezione della scrittura (o della scultura) come scoperta di un qualcosa che esiste già la sostiene anche Stephen King nel suo “On writing” (un libro dove King racconta la sua vita di scrittore e illustra le sue idee sulla scrittura. Pieno di consigli validi in senso assoluto, a prescindere dai generi: dovrebbe essere letto anche da chi aspiri a scrivere poesie o dolci romanzi tipo Harmony. King, sia detto per inciso, è uno che scrive benissimo anche quando parla di cani assassini o persone incatenate a un letto).

Secondo Stephen King lo scrittore che ha un idea per un racconto è come un paleontologo che scopre nel terreno un frammento di un fossile. Suo compito, a quel punto, è disseppellire pazientemente l’intero scheletro, cercando di rovinarlo il meno possibile. La storia esiste già, lo scrittore deve limitarsi a recuperarla e a rispettarla.

Per quel che mi riguarda sono d’accordo. Mi è capitato più volte di fermarmi a lungo di fronte ad un nodo della trama che non voleva svolgersi o a problemi di raccordo tra varie situazioni. Poi, ad un certo punto viene il lampo e tutto si collega con minimi aggiustamenti. La soluzione era stata sempre lì, di fronte a me, ed era naturale che fosse così, ed ero stato cieco io a non vederla sinora.

Purtroppo non è possibile fare dei romanzi tombolati. Ma gli haiku, forse, sì.

2 commenti:

ariadipoesia ha detto...

un haiku è il frutto di un lavoro lungo dimeditazione e di ricerca.
Noi europei poco inclini a tutto quello che non è mordi e fuggi, esrcizziamo la "sventura della meditazione" con diversi sistemi per appropriarci comunque di un mondo che non ci appartiene, perchè malgrado tutti gli sforzi possibili un haiku europeo non sarà mai un vero haiku la metrica di composizione è smepre così dibattuta le nostre immagini di kigo corrispondono malapena alle stupende sintesi della natura che i giapponesi sanno esprimere.
e così nascono le aberrazioni degli haiku come i fantahaikù, e gli haiku tombolati.
E che sia cascina marcondo a promuoveli, o no, sono il segno della contraddizone europea e sinomimo di irriverenza verso una cultura antica che ha saputo fare dell'essenzialità sinonimo di poesia.

scriverecala ha detto...

Ho molto rispetto per la cultura giapponese, che ha il fascino particolare di esserci quasi del tutto aliena. Ovvero diversa e per noi molto difficilmente comprensibile. Credo anch'io che i nostri haiku siano parenti molto lontani degli originali. E' un po' come le poesie in lingua straniera, che possono essere lette nella versione tradotta ma se ne perde del tutto il ritmo e il suono. Con i giapponesi, oltre alla perdita del ritmo e del suono, si ha anche una difficoltà ad entrare in consonanza col loro modo di pensare che presumo possa essere attenuata solo dopo una lunga marcia di avvicinamento al loro mondo.