Parigi 1985 - 11
L'atmosfera è quasi asettica, con una scrivania, due comode poltrone, il telefono a portata di mano, il blocco per prendere appunti, i grandi vetri dai quali noi ci affacciamo perplessi.
L'unica nota stonata in quello che potrebbe sembrare un normalissimo ufficio è rappresentata da un classico confessionale messo in un angolo, certo riservato ai più timidi o ai conservatori ad ogni costo.
Ci troviamo all'interno di una delle navate di Notre-Dame. Poco più in là un vasto bancone illuminato che vende ricordi e santini contribuisce ancora di più a sminuire quel poco di sacralità che la magnifica cattedrale riesce a malapena a salvare dall'assedio implacabile di torme di turisti frettolosi e fotografanti.
Di fronte al metodo moderno di confessarsi provo una certa irritazione. E non è un cieco attaccarsi alla tradizione, non è un richiamarsi alla italica e dunque cattolica cultura; è una specie di fatto estetico, è il fastidio quasi fisico che provo quando la conversazione dei due oltre il vetro è interrotta dal telefono e il prete inizia a parlare e sorride e prende nota, certo ha fissato un appuntamento.
Non possono gestirmi con fare così manageriale, tecnico, privo di sentimento, di sofferenza e di mistero quella fede di così difficile conservazione che purtroppo io un giorno, forse proprio per questo, persi.
Attoniti, lasciamo Notre-Dame. Più tardi, tra i marmi severi della deserta Madeleine, nelle sue luci fioche, ritrovo finalmente la solenne distinzione tra il sacro e il profano e, con discrezione, ne gioisco.
1 commento:
ecco... come dire... una settimanella a parigi adesso ci starebbe proprio bene... ma "mi accontento" rileggendo i tuoi appunti. buona giornata
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